La Storia

Il ruolo prioritario esercitato nel tempo dalla famiglia comitale Della Gherardesca sul territorio di Castagneto, costantemente assoggettato alla sua autorità, sin dal periodo medioevale, ha indotto nel passato molti storici ad intrecciare, in forma variamente differenziata, le più antiche vicende della località e dei dintorni con quelle dei supposti fondatori del casato, in una sorta di connubio atavico che fu talvolta utilizzato come strumento utile a legittimare il secolare diritto di possesso esercitato in loco dai componenti l’illustre casata. A giudizio di taluni, infatti, l’origine dei Della Gherardesca va fatta risalire al longobardo Walfredo il quale, nel 754, risulta avere fondato, presso l’attuale Monteverdi, in monastero di San Pietro in Palazzuolo, legando ad esso, tramite donazione, sia Castagneto sia numerose altre proprietà territoriali. I dati storici confermano l’esistenza di uno stretto rapporto tra la terra di Castagneto ed i Gherardesca, tant’è che alcuni componenti della settima generazione, sono indicati in un documento del 9 Novembre 1161, con il titolo di conti di Castagneto, accompagnato da quello di "domini" di Donoratico, ed è tra i membri della solita casata che si rintracciano i conti delle località limitrofe di Segalari, Donoratico e Bolgheri. L’acquisizione di queste e numerose altre proprietà, originariamente sparse all’interno delle contee di Pisa, Populonia, Lucca e Volterra, rappresentò ovviamente la diretta conseguenza del ruolo politico svolto dai Della Gherardesca nel contesto dell’antica Tuscia: nella seconda metà del X secolo, infatti, alcuni membri di questa famiglia furono conti di Volterra e l’avvenuta investitura lascia trasparire con chiarezza l’esistenza di forti legami coi rappresentanti dell’autorità centrale, che si concretizzarono più avanti con l’adesione al partito enriciano, schieratosi a favore dell’imperatore Enrico II per contrastare quei fermenti di rivolta ed autonomia che avevano portato, nell’anno 1002, all’elezione di Arduino d’Ivrea a re d’Italia. La decisa posizione filoimperiale assunta dai Gherardeschi si rivelò vincente e produsse, come diretta conseguenza, una riconferma dei privilegi in precedenza acquisiti, cui si sommarono, nella prima metà del secolo XI, nuovi vantaggi economico politici derivati dall’ampliamento del patrimonio fondiario. Verso la fine del Trecento si produce uno spostamento degli interessi familiari dei Gherardesca, dalla contea di Volterra verso la città di Pisa, con una progressiva acquisizione di prestigio civico, poi confluito nell’assunzione di importanti cariche pubbliche. La nuova condizione non mancò di provocare ampi riflessi sui territori Mappartenenti ai feudi di famiglia: se, infatti, da un punto di vista giuridico formale, oltre ai diretti benefici derivanti dal possesso delle proprietà terriere, fu demandata ai conti la sola gestione della giustizia amministrativa, mentre la sfera della giustizia criminale è di pertinenza del Comune di Pisa, nella realtà dei fatti ed in virtù del predominio esercitato sulla vita politica pisana i Della Gherardesca godettero di una totale autonomia e pienezza di gestione, qualificandosi come signori unici e assoluti delle comunità comprese dentro i propri feudi. E’ solamente dopo il 1405, a seguito della conquista di Pisa da parte di fiorentini, che si produssero talune svolte, atte a modificare il precedente assetto amministrativo: nel 1421 la Comunità di Castagneto è autorizzata a darsi degli statuti autonomi, mentre nel ’25 la sfera dell’alta giustizia, ovverosia della giustizia criminale, fu sottratta alle possibili ingerenze della famiglia ed affidata al Capitano vicario di Campiglia, direttamente dipendente dal governo di Firenze. I cambiamenti menzionati tuttavia non provocarono un autentico sradicamento degli antichi privilegi; si deve ricordare, infatti, che ai Della Gherardesca furono riconfermati i diritti di signoria, al tempo stesso i conti furono nominati vicari di Castagneto e di diversi altri centri confinanti, con un’operazione che, senza stravolgere i precedenti assetti della proprietà territoriale, si limitava a ribadirne l’avvenuta subordinazione al potere centrale fiorentino. Sul fronte dei rapporti intercorrenti tra i membri della casata e la Comunità di Castagneto si delinea, a partire dal secolo XVI, una precisa contrapposizione, sfociata in dispute giuridiche che videro di volta in volta fronteggiarsi gli interessi degli indigeni e quelli dei conti: così – ad esempio – tra il 1566 ed ’67 Francesco Della Gherardesca rivendicò i diritti feudali di caccia, pesca, pascolo e legnatico e nella causa che ne seguì si vide riconoscere i primi due dal tribunale fiorentino giudicante, mentre per gli altri prevalsero le richieste avanzate dalla popolazione locale, a cui, dopo svariati anni, i Della Gherardesca furono costretti a cedere lo jus pascendi ed il permesso di usufrutto sul legname (1600 – 1610). E’ tuttavia nel Settecento e più precisamente nel periodo lorenese, che i contrasti fra le parti iniziarono ad assumere caratteri di più profonda asprezza: nel 1776, contestualmente ad una più complessa e generale operazione di riordino territoriale, Castagneto perse la propria autonomia e fu inglobato, insieme ai centri di Bolgheri e Donoratico, nella comunità di Gherardesca, vedendo cancellare il proprio nome a tutto favore di una nuova e non gradita determinazione. Per contrastare l’avvenuto cambiamento, che riconosceva il ruolo prioritario esercitato dalla famiglia comitale su quella parte della Maremma, i castagnetani rivolsero al Granduca Pietro Leopoldo un accorato appello, denunciando il grave stato di abbandono in cui versavano le zone controllate dai Della Gherardesca e chiedendo di essere sottratti al loro feudo. La richiesta non fu esaudita, anche se i conti, in quello stesso anno, dovettero adottare nei propri territori la legge sui feudi, da lungo tempo emessa che riducendo in forma sostanziale il potere dei feudatari, avrebbe permesso alle popolazioni di acquisire una maggiore autonomia, facilitando inoltre il decollo di una nuova, più illuminata politica economica, mirata a soddisfare le necessità dei ceti emergenti. Profondi attriti caratterizzarono anche la vita ottocentesca, quando il bisogno di libertà ed autonomia degli abitanti continuò a scontrarsi con la rivendicazione dei diritti comitali, sfociando in azioni legali e pubbliche proteste. Il primo scontro, verificatosi nel ’44, fu la diretta conseguenza dell’inasprimento delle relazioni tra i castagnetani ed il conte che, in quello stesso anno aveva fatto circolare un suo proclama, tramite il quale ribadiva l’antico divieto di cacciare e di pescare nelle proprie tenute; la fase più violenta e accesa degli scontri, tuttavia, si ebbe tra il ’47 ed il ’48. Memorabile, tra gli altri, il tumulto scoppiato per sottrarre al conte l’oratorio cittadino di S. Sebastiano (non più esistente), che pur essendo proprietà della Comunità fungeva da cappella privata della famiglia Gherardesca. Per l’intervento e per l’accorta mediazione effettuata da Giuliano Ricci si poté giungere, alla fine, ad un accordo tra le parti, che si concluse con la concessione al popolo delle tanto agognate preselle e con la definitiva presa di possesso, da parte del Comune, del conteso oratorio, nonché del palazzo pretorio, successivamente trasformato in municipio. Inoltre scomparse dalla toponomastica locale l’odiatadenominazione Comunità di Gherardesca, in luogo della quale fu ristabilita quella di Castagneto che sembra derivare, dal tipo di vegetazione propria della zona, con l’aggettivo Marittimo. La tregua raggiunta, tuttavia, non esaurì completamente la catena degli attriti, che si inasprirono di nuovo allo scadere del secolo, per le faccende solite di caccia e di legnatico: forti contestazioni, inoltre, furono rivolte al conte da parte del Comune per l’alto canone richiesto ai fini della concessione d’uso della sorgente locale. Poiché dall’acqua dipendeva il miglioramento delle condizioni igieniche, il dissidioassunse tinte particolarmente accese, sfociando addirittura in una causa. Non sorprende, a fronte di tante e tanto gravi contrapposizioni, che nel 1907 il Comune decidesse di ribattezzarsi con il nome di Castagneto Carducci. Se infatti nella scelta va certamente colta l’intenzione di rendere omaggio ad una grande poeta, perpetuando il ricordo della sua permanenza a Bolgheri ed a Castagneto, dove fanciullo soggiornò per molti anni, tornandovi poi come ospite durante la maturità, non va dimenticato che il padre di Giosuè, Michele, un medico chirurgo lungamente attivo in questi luoghi, fu tra i più fermi oppositori dei diritti feudali, vivendo da protagonista la stagione dei fermenti civici che precedette i moti del ’48. Il cognome Carducci pertanto, definitivamente unito al secolare nome del paese, suggella in via emblematica il percorso secolare compiuto dagli uomini di questa terra per la conquista della libertà.